Negli anni Cinquanta, Milano ha vissuto una stagione di cambiamenti profondi e intenso dinamismo culturale: le Torri Velasca e Galfa, insieme all’iconico Pirellone, iniziano a disegnare la città moderna, rendendola eclettica, verticale e proiettata verso il futuro. È in questo clima di ricerche astratte e informali denso di fermenti, rinascita e fiorimento del pensiero che Salvatore Quasimodo, profondamente e appassionatamente interessato alle arti visive, realizza ventisette gouaches, plurale del termine francese che indica un tipo di colore a tempera reso ancora più pesante e opaco con l’aggiunta di un pigmento bianco unico. I guazzi, datati 1953, sono l’unico esperimento pittorico ufficiale del Premio Nobel siciliano nativo di Modica. “Oltre Quasimodo. Le 27 gouaches. Sapevo già tutto, e volli peccare” è visitabile dal 6 dicembre.
L’arte di Salvatore Quasimodo in mostra a Palermo
I gouaches sono una testimonianza preziosa della poliedricità e del talento creativo trasversale di Salvatore Quasimodo che, in quegli anni, viveva nella città lombarda, culla e crocevia di linguaggi nuovi, sperimentazioni e contaminazioni tecniche ed espressive. Lo stesso autore di “Oboe sommerso” fu amico di musicisti, pittori e scultori con cui amava dialogare: era il periodo del dibattito tra astrattismo e figurativismo. E, sebbene più interessato a quest’ultimo, per caso inizierà a dipingere le opere astratte.
Le ventisette espressioni artistiche dal tratto pittorico fermo e deciso sono protagoniste di una mostra allestita al secondo piano del Riso, Museo Regionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Palermo. La raccolta accende i riflettori sulla cultura italiana del Dopoguerra, tra il neorealismo al capolinea da un lato e le suggestioni dell’astrattismo e dell’informale, dall’altro. Il titolo dell’esposizione, “Oltre Quasimodo. Le 27 gouaches. Sapevo già tutto, e volli peccare”, riprende le parole che Salvatore Quasimodo scrisse alla moglie, la danzatrice Maria Cumani, citando a sua volta una frase del “Prometeo” di Eschilo che faceva riferimento alle sofferenze fisiche e spirituali legate all’amore per l’arte poetica.
Una sorprendente incursione del poeta nel mondo delle arti visive, che offre al pubblico l’opportunità di scoprire un lato inedito e inaspettato del principale esponente dell’ermetismo, corrente poetica che s’impose nel periodo compreso tra le due guerre mondiali. Se i versi di Salvatore Quasimodo erano solitari, assoluti, chiusi in se stessi, scarni e immediati, altrettanto “blindata” appare la sua espressione pittorica caratterizzata da segni astratti. Cambiano le modalità espressive, ma la visione del mondo rimane inalterata, all’insegna di un’interessante corrispondenza tra composizione poetica e pittorica.
La storia delle gouaches
Per la prima volta a Palermo, le gouaches sono custodite nel caveau di una banca tedesca, ma fedeli riproduzioni a laser sono esposte all’interno del Museo allestito nella casa natale del poeta, in provincia di Ragusa. Le opere approdano al Riso grazie a un prestito della collezione gelosamente conservata: occorre risalire proprio al 1953 per comprendere il percorso che esse, nate quasi per caso, hanno compiuto nei decenni.
Per l’autore, si trattò di un gioco intellettuale senza pretese destinato a esaurirsi in breve tempo: il poeta siciliano avrebbe addirittura voluto distruggere i guazzi. Tutto nacque dalla visita ricevuta da Alberto Lùcia nel suo studio milanese: l’amico e poeta aveva in mano un pacchetto, dentro c’erano una scatola di colori e un pennello in procinto di essere spediti a Parigi, all’indirizzo del drammaturgo messinese Beniamino Joppolo, che aveva appena abbracciato la pittura astratta.
Salvatore Quasimodo è curioso e apre il pacchetto e a quel punto nasce la sfida: il poeta vuole probabilmente dimostrare quanto sia “facile”, anche per una persona inesperta, esprimersi con i modelli dell’arte astratta. Passano i giorni e in breve tempo realizza ben ventisette gouaches: il probabile inizio in tono scherzoso si trasformò in una lunga serie di piccole composizioni e aprì all’autore la strada verso la “comprensione dell’immagine come segno-astrazione”.
L’autore siciliano, non appena decise di non proseguire nell’esperimento, pensò di distruggere le gouaches, ma poi le donò all’amico Alberto Lùcia. L’amico, scomparso nel 1995, le conservò con cura. Nel 1953 il figlio del Premio Nobel Alessandro Quasimodo le riunì in un pregiato volume, “La visione poetica del sogno: ventisette gouaches e ventisette poesie di Salvatore Quasimodo”, in cui le opere sono associate ad altrettante poesie unite dalla parola “cuore”. Si tratta dello stesso abbinamento proposto dalla mostra. A distanza di trent’anni dall’esposizione sul poeta a Roma, dove per la prima volta furono presentate le opere originali, gli eredi del pittore ne hanno concesso il momentaneo trasferimento al Riso.
La presentazione della mostra “Oltre Quasimodo. Le 27 gouaches. Sapevo già tutto, e volli peccare”
Alla presentazione ufficiale della mostra “Oltre Quasimodo. Le 27 gouaches. Sapevo già tutto, e volli peccare” è intervenuto l’assessore regionale ai Beni Culturali e all’Identità Siciliana Francesco Paolo Scarpinato, che ha sottolineato come l’arte contemporanea si inserisca a pieno titolo nelle dinamiche di sviluppo urbano, fornendo un impulso determinante alla crescita culturale, turistica e sociale del territorio. “Dopo trent’anni – ha affermato – le opere tornano visibili e ciò avviene in Sicilia, a testimonianza della vivacità culturale di Palermo e di tutta l’Isola e dell’attenzione riservata ai nostri beni culturali, musei e gallerie, sempre più attrattivi”.
Uno scenario in cui emerge con forza anche la recente proclamazione di Gibellina in qualità di capitale dell’arte contemporanea nel 2026 e in cui il Riso, con la sua vocazione di museo diffuso, occupa un ruolo di primo piano. La direttrice del Museo Evelina De Castro si è soffermata sul collegamento tra la mostra con la collezione permanente, che trae le mosse proprio dalla congiuntura artistica degli anni Cinquanta: tra i protagonisti, ci sono gli astrattisti siciliani Carla Accardi, Pietro Consagra e Antonio Sanfilippo. La direttrice fa parte del comitato scientifico della mostra con Carola Arrivas Bajardi, Cristina Costanzo e Rosaria Raffaele Addamo. Insieme a Giuseppe Cipolla e Salvatore Ferlita hanno contribuito inoltre al catalogo.