La storia dietro la santificazione della patrona della città di Palermo, della Santuzza Rosalia, è travagliata e da ricondurre a dei miracoli risalenti al XVII secolo. È il periodo in cui la peste inizia a incombere sul territorio siciliano: tutto inizia nel 1624, il 7 maggio, quando da Tunisi arriva a Palermo il vascello della redenzione dei cattivi, come riscatto dei cristiani prigionieri. Nonostante l’opposizione del Senato all’attracco, per paura che sul vascello stesse proliferando la malattia, il Vicerè Emanuele Filiberto lo consente: è da questo momento che la pesta inizia a diffondersi nella città di Palermo.
Girolama La Gattuta: la donna colpita dalla peste guidata da S. Rosalia alla guarigione. Il ritrovamento dei resti
Ed è proprio in questo tragico contesto che Girolama La Gattuta, una donna colpita dalla malattia, racconta che le è apparsa in sogno S. Rosalia, con la promessa di una pronta guarigione qualora si fosse recata in pellegrinaggio a Monte Pellegrino. Inizialmente, la donna, guarita dopo tre giorni dall’apparizione, ignora il voto: è così che si ammala di nuovo e che sceglie di adempiere alla richiesta. È sul posto che, dopo aver bevuto dell’acqua che gocciolava dalla roccia, si sente subito guarita e trova ristoro in un profondo sonno. Ed è proprio durante il riposo che le appare in sogno nuovamente S. Rosalia, che le indica dove trovare i resti del suo corpo.
Secondo la leggenda, è grazie all’insistenza di Girolama La Gattuta che iniziano gli scavi nel punto indicato dalla Santuzza: è sotto una grande lastra di marmo che vengono ritrovate ossa umane bianchissime, inserite in concrezioni calcaree. Un forte profumo di fiori inonda la grotta e una moltitudine di persone si recano sul posto, in cerca a loro volta del miracolo: avvengono molte guarigioni.
L’autenticità delle ossa: la visione del saponaro Vincenzo Bonello
Le ossa ritrovate però, inizialmente destano sospetti: il Cardinale Giannettino Doria decide infatti di nominare una Commissione di teologi perché si pronuncino sull’autenticità dei resti, a seguito della perplessità da parte di un gruppo di periti medici.
A sciogliere ogni dubbio ci penserà il saponaro Vincenzo Bonello, che dopo aver perso la giovane moglie per la peste, si reca a Monte Pellegrino con il suo cane e il fucile, con la volontà di togliersi la vita.
È ancora una volta sul Monte che appare in visione S. Rosalia, che gli anticipa che sarà anche lui colpito dal contagio, lo conduce verso la grotta e gli raccomanda di riferire all’Arcivescovo Doria di portare in processione per la città le sue reliquie, affinché la peste cessi subito. Il Cacciatore, ammalatosi come predetto dalla Santa, racconta, in punto di morte, la sua visione a Don Pietro Lo Monaco, Cappellano di S. Ippolito al Capo, che ne riferisce all’Arcivescovo Doria.
È grazie al suo intervento che l’Arcivescovo decide di riconvocare, per un secondo parere, la Commissione: a quel punto si conferma la presenza, tra i reperti, di resti umani appartenenti a una giovane donna. Le ossa sono autentiche e appartengono a S. Rosalia. L’Arcivescovo dispone immediatamente la costruzione di un’urna in argento che possa contenerle ed è così che, il 9 giugno 1625, si svolge la prima processione in onore della Santa Patrona di Palermo: la folla è immensa, ma il contagio, invece che allargarsi a macchia d’olio, cessa.