martedì | 22 Ottobre | 2024

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Pantelleria d’autunno. Cosa fare sull’isola e cosa vedere

“Non credo che esista al mondo luogo più adatto per pensare alla Luna”. Scriveva così Gabriel Garcia Marquez ne ‘L’estate felice della signora Forbes’, uno dei ’12 racconti raminghi’ del romanziere colombiano, ambientato nello scenario onirico di Pantelleria.   

Cossyra al tempo dei Romani, Ogigia in quello di Omero che nell’Odissea la descrive come l’‘ombelico del mare’ e Patelarèas per i Bizantini. E anche Bant ar Riah, ‘figlia del vento’, in arabo, sebbene sia pressoché accertato che i colonizzatori islamici, stanziali sull’isola dal 9° all’11° secolo, questo nome non glielo abbiano dato mai e che invece, come si deduce anche da mappe nautiche tunisine risalenti alla fine del 1800, abbiano in realtà identificato l’isola vulcanica al centro del Canale di Sicilia con il nome di Qusirah: versione arabizzata, appunto, di Cossyra.  

Al di là dell’etimo, è certo che questo micromondo quasi equidistante tra la Sicilia e Capo Mustafà, in Tunisia, cominciato ad emergere dal Mediterraneo 320mila anni fa, è un prisma complesso che riporta all’alba dei tempi. A esprimerlo gli scenari di rocce laviche accartocciate e le calde fumarole che sfiatano sia tra le pietre dell’entroterra che da alcune fessure sommerse a pochi metri di profondità. Un vulcano quietamente attivo da millenni (con un’ultima eruzione sottomarina, a poca distanza dalle scogliere, nel 1891) e, di conseguenza, tutt’altro che un luogo prêtà porter

Legato sì alle emozioni estive del mare, ma non a queste riducibile. Pantelleria è infatti soprattutto un’isola di terra, abitata e coltivata, da millenni, sfidando il vento impietoso che costringe molti alberi a crescere quasi in orizzontale.

Per questo vale la pena di tornarci anche nelle altre stagioni e, così, possibilmente a piedi, lungo diversi percorsi escursionistici o, per i più allenati, sui pedali di una mountain bike, scoprire l’incredibile varietà cromatica e geologica dei suoi paesaggi. Per esempio, le cuddìe, ovvero i crateri (37 in tutto) che circondano Montagna Grande, vulcano spento e massimo rilievo dell’isola con i suoi oltre 800 metri di altitudine; i fanghi termali che ribollono in quella meravigliosa spa a cielo aperto che è lo Specchio di Venere. E il suggestivo assortimento di tanti altri fenomeni geotermici: dai getti di calore della scogliera sottomarina di Nikà, le vasche della Grotta di Satarìa (il cui accesso è da qualche anno limitato per ragioni di sicurezza) e di un lembo dell’approdo di Gadir, a quelli diffusi nell’entroterra ricco di verde: oltre alle favàre, anche le grotte, come quella di Benikulà, in cui l’aria calda che sale dal sottosuolo alimenta una vera e propria sauna naturale. 

Fondali da esplorare anche fino ad autunno inoltrato

Il mare, a Pantelleria, racconta anche molto al di là dell’estate. I fondali dell’isola attirano subacquei fino a novembre e, ad ogni tuffo con le bombole, offrono un compendio completo delle bellezze sommerse del Mediterraneo. Alla varietà ittica, dai pesci stanziali, come le cernie, di grande taglia, a quelli di passo, come ricciole, carangidi e soprattutto i barracuda, i cui andirivieni si svolgono spesso in forma di plotoni di centinaia di esemplari, si associano svariati esemplari di nudibranchi e di organismi coralligeni. Tra questi le stelle gorgone, gli esemplari di gerardia savaglia e di corallo nero, nonché di grandi gorgonie rosse e gialle, aperte a ventaglio sopra costoni ubicati però a profondità impegnative, soprattutto per le correnti. Un vero e proprio set cinematografico che vale la pena scoprire con le guide del centro sub Green Divers, specializzato in full-day (2 o 3 immersioni al giorno in punti diversi dell’isola).   

Isola sensuale e difficile.

La natura prorompente di Pantelleria amplifica anche un messaggio di resistenza e adattamento: quello di un mondo contadino abituato da secoli a adattare le coltivazioni a un ambiente estremo, messo a dura prova dall’implacabile vento salmastro, dal caldo torrido in estate e dalla scarsità di piogge anche in inverno. Un luogo di per sé non vocato all’agricoltura ma che l’uomo è riuscito a ‘domare’, con la creazione di terrazzamenti lungo le colline laviche. 

Oggi questi lembi di terra scura sono punteggiati dalle viti a alberello, tipicità agricola dell’isola tutelata dall’Unesco nel Patrimonio immateriale dell’Umanità. Da dicembre a marzo il suo clima si mantiene per lo più mite durante le ore diurne, ma le variazioni meteorologiche possono diventare così rapide che sembrano alternare tutte e 4 le stagioni in un lasso di tempo anche molto breve.

Un misterioso passato remoto

A partire dal diciottesimo secolo avanti Cristo la presenza umana a Pantelleria diventò stanziale davanti la sua costa nord-occidentale, la meno scoscesa e più adatta alle coltivazioni. Lo testimonia il villaggio risalente all’Età del Bronzo e dell’adiacente necropoli, situati nelle contrade di Mursìa e di Cimillìa. È l’area in cui si trovano i sesi, le enigmatiche strutture funerarie a forma di tronco di cono, censite per la prima volta alla fine dell’Ottocento dall’archeologo Paolo Orsi e diventate uno dei luoghi più significativi della ricerca sulle civiltà mediterranee portata avanti da Sebastiano Tusa. Proprio le caratteristiche costruttive dei sesi, termine dialettale usato dai contadini panteschi per indicare i cumuli di pietre laviche, fanno di questo sito archeologico un unicum in tutto il bacino Mediterraneo. Alte fino a 4 metri, queste strutture mostrano alcune analogie con i nuraghi della Sardegna, le torri in pietra della Corsica e i talaiots delle Isole Baleari. Ma a differenza di questi monumenti che erano del tutto vuoti all’interno, i sesi non lo sono. Gli scavi hanno infatti evidenziato la presenza di cunicoli alla loro base che conducono a una piccola grotta centrale. Nel Sese del Re, il più grande e tra quelli meglio recuperati, se ne contano dodici.

Camminando..e degustando 

I trekking più emozionanti sono proprio quelli nei suoi più tipici paesaggi rurali. Come il tragitto che si snoda lungo le contrade di Ghirlanda e di Barone, attraversando anche il bosco di Cùddie Patìte. Immancabile itinerario naturalistico- rurale, quello del Lago di Venere, un ecosistema unico al mondo per i sui valori biologici e faunistici (è area di sosta per molti volatili migratori). Da qui parte un percorso di 10 chilometri su saliscendi, attraversamenti di valli con ruderi della seconda guerra mondiale e, tra le attrattive, la scalata del monte Gelfiser, a fianco di crepacci e ammassi di detriti risalenti a antiche eruzioni vulcaniche e di una macchia mediterranea che cede poi lo spazio a una boscaglia di lecci e ginepri. Molto suggestiva anche l’escursione a Montagna Grande, al centro del Parco Nazionale di Pantelleria, lungo un percorso a anello di 8 chilometri dentro il fitto bosco di pini marittimi, anche questo completabile in 3 ore e mezza. 

Un ambiente di storica importanza per l’agricoltura basata sulla coltivazione dei capperi, ma anche di fichi, meloni e della pregiata uva zibibbo: materia prima per la vinificazione delle attuali 19 cantine dell’isola. A parte realtà apicali come le marsalesi Cantine Pellegrino e Donnafugata, rispettivamente situate in località Cuddìe Rosse, a poca distanza dal porto di Pantelleria e in contrada Khamma, tutte le altre sono aziende minuscole che, come le prime, producono vini ormai collocati su alti standard di qualità. A cominciare dal celebre vino passito pantesco. 

Isola Doc: dal tradizionale passito ai vini bianchi secchi

Tra queste la cantina Ferrandes, nell’area di Mueggen: è la più piccola dell’isola e nel suo dammuso di produzione, da dove escono non più di 5mila bottiglie all’anno, è possibile degustare tra i migliori passiti della Doc Pantelleria e ascoltare i racconti del titolare dell’azienda, Salvatore Ferrandes, la cui famiglia ha una storia di 800 anni che si fonde con quella enoica dell’isola.

Pantelleria è un piccolo paradiso per gli esperti e i semplici appassionati di vino. Non a caso negli ultimi anni, l’enoturismo, autonomo rispetto alle logiche vacanziere dell’estate e più esteso a altri periodi dell’anno, è cresciuto molto, rafforzando l’appeal dell’isola del vento.   “Arrivano in cantina enonauti sempre più competenti e informate – dice Caterina D’Ancona, dell’omonima azienda agricola a carattere familiare, da oltre 100 anni attiva in località Cimillìa. 

Come la nostra, anche altre cantine pantesche non si limitano più alla produzione di passito ma spingono sempre di più anche su quella vini secchi, sempre da uve zibibbo. Adesso, noi produciamo circa 7mila bottiglie all’anno tra passito, il Cimillìa e tre differenti linee di vini bianchi che incuriosiscono i turisti desiderosi di allargare le conoscenze sul nostro particolare mondo enoico”. Un movimento che -conclude D’ancona –  da maggio arriva ormai a sfiorare il mese di novembre”. 

di Antonio Schembri

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