Non è un caso che in Sicilia un’arte come la gastronomia abbia uno dei suoi principali areali d’elezione in una città d’arte varia. Malgrado il suo caos quotidiano, ancora oggi Bagheria si racconta infatti attraverso l’architettura di ville favolose, la cui storia comincia nella metà del 1600, con la pittura di Renato Guttuso e Carlo Puleo, con la fotografia di Ferdinando Scianna e i versi del poeta Ignazio Buttitta. E naturalmente mediante il grande cinema di Giuseppe Tornatore.
La ristorazione di Bagheria
Nella città a 15 chilometri da Palermo, il lascito culturale dei monsù, i grandi cuochi attivi nelle tante lussuose residenze nobiliari, ha come inciso un imprinting genetico. Dall’inizio degli anni ’40 del Novecento, quando la trattoria Don Ciccio vi si trasferisce da Palermo, la vocazione gastronomica di questo centro di 53mila abitanti comincia a evolversi in forma di filiera: trattorie, panifici e, in seguito, ristoranti. Per arrivare alla svolta gourmet che negli ultimi dieci anni ha pigiato sull’acceleratore della qualità e della riconoscibilità internazionale. Al punto da far immaginare, giusto per richiamare come può svilupparsi una vocazione produttiva, un parallelismo tra quella gastronomica di Bagheria e quella per la progettazione delle grandi auto sportive italiane lungo la via Emilia, con Maranello e Sant’Agata Bolognese a fare da traino col rombo delle Ferrari e delle Lamborghini. Fermo restando che la Sicilia intera è terra di grandi tradizioni culinarie e di un’inventiva gastronomica in crescita, è certo che Bagheria rappresenta adesso un importante traino della cucina regionale. e che ciò avviene grazie a un mix fra tradizione e innovazione. La Città delle Ville conta già infatti due chef stellati che lavorano in ristoranti vicini, nonché una rete di altri locali che crescono in termini di qualità e notorietà. A questi si aggiungono una scuola di cucina, quella del Centro Studi Aurora, che adesso sforna e colloca alla svelta i propri diplomati nel mercato del lavoro. E, sempre nella filiera, anche unasocietà leader nella progettazione e vendita di arredi per il settore della ristorazione, la Mi.ra.co.
È stato proprio nello stand di questa azienda, che nell’ultima edizione di ExpoCook, la più grande fiera di settore nel sud Italia, è stato possibile entrare in contatto con il vivace ‘ecosistema’ gastronomico bagherese: 4 giorni di cooking show e incontri con chef e produttori vitivinicoli per assaggi, valutazioni e considerazioni su piatti e abbinamenti.
La Strummula ristorante e lo chef Santino Corso
“Sperimentare, reinventarsi, giocare con gli ingredienti”: una parola d’ordine per la brigata di cucina de La Strummula, ristorante di Porticello, aperto l’anno scorso (primo compleanno il 1 aprile) davanti al mare all’interno di una struttura ricettiva che riaprirà presto in forma di boutique hotel. A capitanarla, due soci: lo chef palermitano Santino Corso e il manager bagherese Carlo Incandela. A Expo Cook La Strummula ha proposto il piatto Pisci&Chips, incluso nel suo menu degustazione denominato Ricerca e Sviluppo: titolo ‘concettuale’ che rivisita in pratica il fish&chips britannico in chiave siciliana. “Molti ci indicano come ristorante gourmet, ma in realtà i miei piatti ruotano su reinterpretazioni di specialità tradizionali basate su ingredienti cosiddetti ‘poveri’ “, spiega Corso, tornato in Sicilia dopo collaborazioni più e meno lunghe presso ristoranti stellati, soprattutto in Inghilterra.
Il nome di questo ristorante evoca passato e eco-sostenibilità. La Strummula era infatti l’antico gioco di strada fatto con un ciocco di legno, un chiodino e un laccio: divertimento semplice per i ragazzini di tanto tempo fa, oggi estinto, ma che restituisce un messaggio attuale di rispetto per l’ambiente: “Nello specifico un invito a limitare sempre di più l’uso della plastica e a narrare le particolarità di un luogo dall’atmosfera particolare come Porticello, primo porto siciliano per la piccola pesca, oggi pressato dal forte stato di crisi del settore”. “Fondamentale per noi la sinergia con i fornitori di pesce locali , che ci ha consentito di bruciare molte tappe in appena un anno di vita- dice lo chef. Siamo del resto l’unico ristorante di questo genere nell’area di Porticello-Santa Flavia”.
Diversi altri piatti de La Strummula sono stati battezzati da Santino Corso con nomi ‘contemporanei’. Per esempio, Le Prospettive del Gambero, un antipasto basato sul gambero rosso, sia crudo che cotto, salsa di datterino giallo, caciotta palermitana e mandorla d’Avola: “cucinato – spiega– sulla friggitrice in modo da far ottenere consistenze diverse al crostaceo da impiattare”. Tra i cavalli di battaglia de La Strummula c’è poi un uovo poché, preparato con caciotta palermitana, limonata, tartufo bianchetto delle Madonie e spuma di patata aromatizzata, nel quale “giocano consistenze e sapori differenti: la parte croccante e quella soffice, la parte acida e quella amara”. Del menu degustazione intitolato ‘Genesi’ si può tra l’altro assaggiare la ‘cubonata’, rivisitazione della caponata di pesce; oppure una reinterpretazione della sarda a beccafico, che Corso lavora con farina di sarda glassata con un gel di alloro e aromatizzata con agrumi: “tutto ciò che di questa specialità la tradizione poneva sulla pirofila, lo abbiamo concentrato in un unico boccone”.
Il ristorante La Strummula occupa lo spazio di un’antica ‘pirriera’, (una cava di tufo) con una grotta che conduce al mare: un antico alloggio di pescatori dalle molte suggestioni storiche. Anche per via di un locatario celebre, Luigi Pirandello. “Stando a un contratto d’affitto del 1887 il premio Nobel della letteratura trascorse qui due anni, durante i suoi studi universitari a Palermo, prima di continuarli a Roma e poi a Bonn – dice Incandela. È probabile che da questa esperienza abitativa di fronte al mare, il drammaturgo agrigentino trasse ispirazione per scrivere anni dopo ‘Ciaula scopre la Luna’, una delle sue novelle più fortunate”. Spazi speciali, quindi, quelli tra queste mura di pietra gialla: anche a causa del cinema. Quattordici anni fa Giuseppe Tornatore vi ha infatti girato alcune brevi scene del suo Baarìa, mentre nel 2022 sono state il set del telefilm L’arte della Gioia, tratto dall’omonimo libro di Goliarda Sapienza.
Limu, ristorante una stella Michelin, chef Nino Ferreri
A Expo Cook molto seguita è stata anche l’esibizione di Nino Ferreri, 1 stella Michelin in forza al ristorante Limu, situato proprio di fronte l’Arco della Santissima Trinità (comunemente detto del Padreterno): uno dei monumenti più storici di Bagheria e porta d’ingresso verso la celebre Villa Palagonia.
La tradizione esaltata dalla creatività è il leit motiv delle pietanze dello chef originario di Trabia, anche lui riapprodato al territorio natìo dopo peregrinazioni di lavoro presso ristiranti a Milano, in Svizzera, a Porto Cervo e in Val Gardena. “Oggigiorno, sostiene Ferreri, con l’aiuto della tecnologia realizzare un piatto presentabile è un’operazione praticamente alla portata di tutti. A fare la differenza, però, è l’esperienza sensoriale offerta al cliente, l’emozione che lo riporta a qualche luogo o a un ricordo particolare. Garantirgliela è per noi una grande responsabilità”.
Il Coniglio del bosco, questo il nome della pietanza degustata nel suo show cooking, nasce come omaggio alle Madonie: “un piatto che si contrappone ai classici menu di pesce serviti in tutti i ristoranti delle costiere siciliane – spiega Ferreri – ci accorgiamo che carne e verdure vengono sempre più richieste: carni bianche, in particolare, e tante erbe spontanee che danno a piatti come questo una veste diversa a seconda delle stagioni: in autunno viene accompagnato dai funghi di ferla o i porcini, adesso utilizziamo gli asparagi selvatici”. Abbinamento azzeccato quello con i vini della Cantina Brugnano: quello assaggiato è stato il Perricone Her 2021, della Cantina Brugnano. Le 6 linee di vini prodotti dall’azienda di Partinico – sottolinea Ferreri “sono tra quelli che stanno funzionando meglio in abbinamento ai nostri piatti. L’amicizia con Francesco Brugnano, poi, alimenta già da un po’ una proficua collaborazione”.
Il successo dello stellato Tony Lo Coco e la sua seppia sporca
Grande riscontro, ha avuto l’apripista della nuova cucina bagherese, Tony Lo Coco, del ristorante I Pupi, primo chef della zona a essere fregiato della stella Michelin. Nel suo ultimo memoir di cucina, l’attore americano di origine calabrese Stanley Tucci (Il Diavolo veste Prada, tra i tanti suoi film di successo), si spertica letteralmente, definendola ‘una vertigine dei sensi’, per la pasta alla bottarga con capperi fritti croccanti, mollica e acciughe tritate preparata dal cuoco nato a Palermo, ma trasferitosi a Bagheria con la famiglia quando era bambino. Uno tra i tanti piatti semplici della tradizione, questi, che Lo Coco ama rivisitare con dosi sapienti di ingredienti del territorio. Per approdare a combinazioni sul piatto che, appunto, il territorio lo raccontano per filo e per segno: “Sono un autodidatta e devo l’apprendimento di questo mestiere agli insegnamenti ricevuti nella mia famiglia, dove diverse donne cucinavano a alti livelli, ma sempre partendo da semplici ricette della tradizione – argomenta ‘lo chef dal fisico di rugbista e la testa pelata’ (definizione sempre di Stanley Tucci).
In un mondo nel quale apprendere da altri chef non è cosa così facile e scontata, Lo Coco ha scelto di trasferire la sua conoscenza ai più giovani senza volerla proteggere gelosamente a ogni costo: e infatti la brigata di cucina che dirige a I Pupi ha un’età media di 22 anni. “È soltanto in questo modo che un territorio può crescere, spingendo i ristoranti a investire per incrementare la loro qualità; e vale lo stesso anche per le piccole trattorie e i panifici”, dice.
Nel suo cooking show Lo Coco ha preparato la ‘seppia sporca’. “Un piatto della tradizione marinara, che si lega ai racconti dei pescatori, nel mio caso quelli di Aspra”, racconta. La seppia viene cotta sulla carbonella di legno d’ulivo e condita con olio extravergine di oliva e limone. Lo Coco vi aggiunge una leggera flambatura per aumentarne la consistenza e la guarnisce con caponata bianca, fatta con carciofi, mandorle e capperi e sale di Mozia. L’abbinamento scelto a Expo Cook è stato quello con il Moscato di Alessandria (zibibbo secco) dell’azienda Mandrarossa, brand apicale delle Cantine Settesoli di Menfi: “un bianco di cui risalta il tocco aromatico e la mineralità derivante dalla brezze marine che si diffondono tra i vigneti collinari di uno dei territori siciliani più anticamente vocati alla produzione vitivinicola; e che per il 2023 valgono a Menfi il titolo di ‘città italiana del vino’, sottolinea Roberta Urso, Responsabile della Comunicazione di Cantine Settesoli.
Claudio Oliveri, chef di Oliveri 1964
A chiudere le degustazioni di salato, nella giornata del 9 marzo sono stati lo chef Claudio Oliveri del ristorante Oliveri 1964 con il Carciofo “ca tappa ri l’ovu” e la docente del Centro studi Aurora (CSA) Rosellina Clemente che ha preparato un baccalà dal nome ispirato al cambio di stagione prossimo venturo: “Ciclo di primavera”.
Il Centro Studi Aurora
Riguardo, infine al valore strategico della formazione, proprio la scuola di cucina del Centro studi Aurora (CSA) di Bagheria ha calamitato molte attenzioni. “I corsi di formazione sono all’insegna della complementarietà tra branche diverse della gastronomia: “da quella gourmet alla cucina tradizionale e la pasticceria, altro settore in cui a Bagheria si eccelle – illustra Maurizio Fascella, direttore di questo centro che nasce 30 anni fa e opera su più campi formativi. “La scuola, avviata 6 anni fa, è ormai una delle attività centrali della nostra offerta formativa. Si tratta a tutti gli effetti di un percorso triennale, a cui si aggiunge un’altra annualità per ottenere un diploma professionale riconosciuto – aggiunge – Poiché siamo accreditati anche come agenzia per il lavoro, gestiamo con l’Anpal, l’agenzia nazionale per le politiche del lavoro, opportunità di collocamento per i ragazzi che andiamo formando”. In pratica, spiegano al centro studi, per i futuri cuochi è possibile cominciare a fare esperienze sul campo già a partire dal secondo anno del corso. Ad oggi le decine di ragazzi che hanno ottenuto il diploma vengono assorbiti da aziende di ristorazione di Bagheria e dintorni. Ciò si deve – riprende Fascella – anche grazie al progetto CSA Incontraziende, finalizzato a creare contatti tra i ragazzi della scuola e il mondo della ristorazione, in modo che le aziende possano valutare il livello della forza lavoro che formiamo. Un esempio recente riguarda l’allievo Michele Tricoli, che a fine mese entrerà nella brigata di cucina, con la qualifica di chef de rang, del Belmond Villa Sant’Andrea di Taormina, uno dei alberghi a 5 stelle più prestigiosi in Sicilia. E stiamo lavorando anche con il programma europeo Erasmus Plus: il parterre di paesi che potrebbero assorbire nuovi giovani cuochi include realtà come la Spagna e alcuni paesi dell’est”. Geopolitica permettendo, gli chef di domani avanzano quindi su più fronti. Per narrare la Sicilia su piatti e palati.
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Articolo di Antonio Schembri