Patrona di 44 comuni distribuiti per tutta l’Italia, Sant’Agata è celebrata con grande devozione in particolare a Catania, che detiene il titolo più antico. La sua festa religiosa è la terza al mondo per partecipazione popolare, dopo la Settimana Santa di Siviglia e la Festa del Corpus Domini di Cusco. Ogni anno arrivano nel capoluogo etneo decine di migliaia di persone per le celebrazioni, che si prolungano per un’intera settimana, fino al culmine del 5 febbraio, giorno in cui si ricorda il suo martirio. Questa ricorrenza rappresenta una vera e proprio istituzione per la città. Dal 2005, è riconosciuta come Bene Etneo Antropologico. È stata anche presentata richiesta per inserirla nella lista “Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco”.
Il martirio di Sant’Agata: la storia
Nata a Catania nel III secolo d.C., presumibilmente tra il 229 e il 235, Sant’Agata apparteneva a una ricca famiglia di fede cristiana. Fra la fine del 250 e l’inizio del 251 sopraggiunse, proprio nella città etnea, il proconsole Quinziano, che mise in atto una feroce persecuzione contro tutti i cristiani al fine di far rispettare l’editto dell’imperatore Decio, il quale imponeva la conversione pubblica di questi ultimi.
Secondo la storia Sant’Agata, allora quindicenne e fortemente devota a Dio, fuggì con l’intera famiglia a Palermo, ma Quinziano li scovò e li costrinse a tornare a Catania, attraversando quella che ancora oggi è ricordata come Porta Sant’Agata. Essa è tra le più antiche ad oggi esistenti in città e si trova nei pressi di Corso Tukory, a fianco della Chiesa di Sant’Agata la Pedata.
Si narra che quando Sant’Agata rientrò a Catania, il proconsole Quinziano la vide e se ne invaghì, ordinandole di ripudiare la sua fede e adorare gli dei pagani. La giovane si rifiutò e venne affidata alla custodia rieducativa della cortigiana Afrodisia e delle sue figlie, che esercitavano una continua pressione psicologica nei suoi confronti. La strategia, tuttavia, non sortì alcun effetto.
È così che, proprio il 5 febbraio, Sant’Agata venne incarcerata e condannata ad atroci violenze, con l’intento di piegare la sua volontà. La ragazza inizialmente fustigata, legata sull’eculeo e allungata con funi, fino a slogarle le caviglie e i polsi, e sottoposta al violento strappo delle mammelle con tenaglie. Infine, fu condannata al rogo. Un terremoto la salvò, interrompendo l’esecuzione. Nuovamente condotta in prigione, ebbe l’apparizione di San Pietro, che la guarì dalle sue ferite. Morì in cella nel 251.