Scale a chiocciola, imponenti colonne e sette chilometri di scaffalature in legno che custodiscono l’intera storia della città sotto forma di manoscritti: questo e molto altro è l’Archivio Storico Comunale di Palermo, un vero e proprio “tempio laico della cultura” nel cuore del contro storico del capoluogo siciliano.
Come nasce l’Archivio Storico Comunale di Palermo
L’Archivio Storico Comunale di Palermo sorge in un edificio di Via Maqueda che, ai tempi della comunità ebraica a Palermo, ospitava la sinagoga (chiamata dai palermitani Meschita). Verosimilmente, si trattava di una moschea poi convertita al culto ebraico. A testimoniare questa connessione è uno dei documenti più preziosi che oggi sono custoditi nella struttura. Si tratta dell’Editto di Granada, ossia l’editto voluto dal re Ferdinando II d’Aragona e la regina Isabella di Castiglia, che imponeva l’espulsione dalla Sicilia di tutti gli ebrei non convertiti, risalente al 1492.
È proprio a seguito dell’espulsione degli ebrei dalla Sicilia, avvenuta nei fatti nel 1492, che i luoghi che componevano il quartiere ebraico di Palermo vennero acquistati da nobili o presi in gestione dalla Chiesa. L’antica sinagoga venne prima convertita in convento per l’Ordine delle Clarisse e poi, sul finire del 1500, venne ceduto ai Padri Agostiniani, i quali lo fecero diventare il convento della chiesa di San Nicolò da Tolentino.
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Nel 1866 venne emanata una legge che prevedeva la soppressione degli ordini e delle congregazioni religiose e moltissimi conventi e monasteri, rimasti vuoti, vennero presi in gestione dal comune e usati per conservare la propria documentazione storica. È nel XX secolo che nacque dunque così l’attuale Archivio storico comunale di Palermo. Il progetto di ristrutturazione fu firmato dall’architetto Giuseppe Damiani Almeyda, già progettista del Teatro Politeama, a cui è dedicata l’omonima sala.
Il progetto dell’architetto Giuseppe Damiani Almeyda
Notevole esempio di “ingegneria per archivi” di fine ‘800, l’Archivio Storico Comunale di Palermo progettato da Giuseppe Damiani Almeyda è munito di moltissimi dettagli funzionali, come gli oblò che costituiscono un sistema di areazione, i ballatoi muniti di leggii per la consultazione dei testi e i cestelli in legno che, collegati a corde e argani, permettono di portare i documenti selezionati al pian terreno con il minimo sforzo. È definito da molti un “tempio laico della cultura” e pare che questo paragone non sia affatto causale. L’architetto infatti sembra aver voluto ricalcare nel suo progetto l’originale struttura dell’antica sinagoga ebraica e da ciò emerge l’unicità del luogo.
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L’Archivio Storico Comunale di Palermo è composto da ben 7 km di scaffalature in legno ricoperte da volumi, per lo più manoscritti, che consentono di ricostruire buona parte della storia della città raccontata direttamente dalle fonti.