Amore per il territorio e necessità di far riflettere sono i motori del lavoro di Michele Riondino. Gli ultimi mesi sono stati particolarmente floridi per l’attore e regista, che ha vinto svariati premi. Per il film “Palazzina Laf” ha infatti ottenuto il prestigioso David di Donatello come miglior attore protagonista, oltre alle candidature come miglior regista esordiente e miglior sceneggiatura originale, ma anche il Ciak d’oro sia come attore che come regista e i Nastri d’Argento come miglior esordio, miglior sceneggiatura (con Maurizio Braucci) e miglior attore protagonista. A Milazzo, in provincia di Messina, ha inoltre ricevuto l’Acting Award per la stessa opera. In ultimo, a inizio luglio il film ha ricevuto anche il Premio Cipputi, ispirato all’operaio disegnato da Altan e rivolto a opere cinematografiche incentrate sul tema del lavoro.
Ai Nastri d’Argento, inoltre, Michele Riondino ha vinto anche come miglior attore protagonista per il ruolo nella serie “I Leoni di Sicilia“. In quest’ultima veste i panni di Vincenzo Florio, legando ancora di più la propria immagine alla Sicilia dopo la precedente esperienza come giovane Montalbano. Anche l’esordio a teatro è stato in Sicilia, con Giuseppe Patroni Griffi in “Uno sguardo dal un ponte”. “Quando si deve lavorare con un dialetto diverso dal proprio la salvezza sta nella gestualità”, ha detto.
L’intervista di Michele Riondino a BE Sicily Mag
A Be Sicily Mag Michele Riondino ha parlato del suo rapporto con la Sicilia e ha raccontato una parte importante di sé attraverso “Palazzina Laf”, suo esordio alla regia e scorcio della sua Taranto. Diretto e volutamente grottesco, il film porta infatti sullo schermo la vera storia di mobbing nell’Ilva. L’elemento aggiunto è proprio il personaggio da lui interpretato: Caterino Lamanna, emblema di quella “guerra tra poveri” che il suo interprete punta a criticare.
“Palazzina Laf”, un film su Taranto
Dopo anni di attivismo, la sua vocazione verso il sociale sfocia nell’arte. Quanto è importante diffondere questa storia?
“Da attivista ho sempre raccontato la realtà tarantina. Sono andato a concerti, ho partecipato a dibattiti, ho scritto libri. Sempre raccontando la storia di Taranto e il rapporto tra città e industria. Nel frattempo ho raccolto il materiale per poter fare la stessa cosa anche nel mio linguaggio. Palazzina Laf è il risultato di questa ricerca lunghissima. È la storia, secondo me emblematica, di alcuni lavoratori che, pur di difendere la propria dignità, sono disposti a subire un’umiliazione che li segnerà per sempre. Raccontare questa vicenda è importante perché conoscere la storia di questa palazzina e di questi lavoratori ci dà gli strumenti per poter capire quello che sta succedendo a Taranto oggi”.
Dalle vicende del film sono passati 26 anni, cos’è cambiato e quanto c’è di attuale?
“Le generazioni che sono succedute alla mia non dipendono dall’Ilva come la mia. Quando nel ’97 si apriva l’argomento, molto spesso erano i nostri genitori a dirci di stare buoni, perché là dentro ci saremmo finiti per lavorare. Le generazioni successive non ci lavoreranno mai. Già questo è un grande cambiamento positivo. Certo, quello che non cambia fa paura. Non è cambiata l’attitudine che hanno la dirigenza e le istituzioni nel considerare il territorio. Viene ignorata la parte attiva della popolazione che vive la città ma non lavora in fabbrica”.
Michele Riondino e il rapporto con la Sicilia
In “Palazzina Laf” c’è un senso di staticità, ma Michele Riondino ha interpretato anche Vincenzo Florio, personaggio complesso ma sempre proiettato al futuro. Com’è stato lavorare a entrambi?
“Il mio personaggio in Palazzina Laf è proprio colui che non prende posizione, il prodotto di anni di ricatti che hanno indotto l’operaio a non occuparsi del bene comune e quindi del bene proprio. La dignità di classe si è trasformata in una vera e propria ignoranza di classe, nel senso che si ignorano i problemi, si fa finta che non ci siano. È così che si crea la guerra tra poveri, tra lavoratori. L’operaio è in guerra costante con l’impiegato.
Lavorare su Vincenzo Florio è stato diverso e divertentissimo. Quando hai a che fare con un personaggio spudorato, maleducato e scorretto puoi permetterti tutto. È stato importante perché mi ha fatto conoscere un aspetto più antropologicamente antico dell’idea di industriale”.
Pensando alla Sicilia cosa viene in mente?
“Naturalmente tutte le esperienze vissute. Oltre a Florio e Montalbano, ho fatto molto teatro in Sicilia, a Palermo. Per me la Sicilia è una seconda casa. Avere portato nell’Isola un film sulla mia città è per me motivo di indescrivibile felicità. Come quando vai a casa di un parente che vive in un’altra città e porti in dono qualcosa di tuo. Io ho portato un film nella mia lingua, finalmente l’ho fatta sentire ai miei quasi concittadini siciliani”.